Scorie Microcosmiche – Strappi

 

Osservando questi microcosmi con lenti di ingrandimento vedremo le unità di misura accresciute a dismisura, rivelando agli occhi veri e propri macrocosmi, che avvolgono e disorientano il ‘neo-viaggiatore spaziale’, il quale trovandosi alle prese di filamenti, cellule morte e depositi di polveri sarà costretto a fare largo nella sua mente a una forma di maturazione del proprio pensiero, scardinando e allontanando tutti quei preconcetti, credenze e fobie che fanno parte dell’uomo.

 

 

Scorie Microcosmiche – Strappi
13 x 9,5 cm cad.

 

Considerati antiestetici, antigienici, alle volte superflui e per tanto imbarazzanti, provenienti da qualsiasi parte del corpo, sia i capelli che i “peli” hanno da sempre avuto un impatto differente nell’opinione dell’uomo. Ad esempio il “pelo pubico”, considerato come uno dei caratteri sessuali più importanti, segna la maturità sessuale di entrambi i sessi e in particolar modo segna la fertilità e la carica erotica del sesso femminile. Difatti già dalle figure idealizzate delle donne del Rinascimento i peli venivano rappresentati solo da una ombra, poiché già da allora il pelo pubico femminile fu associato a opere pornografiche, così è stato fino al 1866 con L’origine du monde di Courbet, in cui i tabù sessuali continuarono a persistere fino ai nostri giorni. Nonostante negli anni Sessanta si cercò di superare questo tabù del “pelo pubico”, personalità come la stilista Mary Quant fece sapere che si era tagliata i peli pubici a forma di cuore, oppure negli anni Ottanta, con la serie di Helmut Newton denominata “Big Nudes” (1981), il quale mostrava modelle con tacchi alti e peli pubici piuttosto imponenti. Ancora oggi si associano i peli, sia del pube che i capelli a un qualcosa da celare o da cui ognuno di noi se vuole liberarsi dal male se ne deve disfare.

 

 

Come la Gugliotta, anche altri artisti prima di lei hanno indagato e persino usato come mezzo, come soggetto e fatto oggetto delle proprie opere questi residui di corpo. Già dall’opera precorritrice Déjeuner en fourrure (1936) di Oppenheim a Behold (2009) di Sheela Gowda, oppure all’opera Hair Necklace (1995) di Mona Hatoum in cui grovigli di peli e capelli diventano oggetti da esperire esteticamente, in quanto sono diventati sculture, istallazioni, soggetto principale di una fotografia e forme libere e iconiche come pitture informali e segniche alla Dubuffet.

Danilo Lo Piccolo

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